Vi avevamo promesso rivelazioni sull'enigmatica, nonchè di riflesso mysteriosa figura di Pino Sbando, umile cronista adriese al soldo del carismatico e abietto doktor ERRE, su cui non spenderemo ulteriori aggettivi.
Ancora una volta attingiamo dunque alle sconcertanti rivelazioni di Wikilikz, procurateci come dovreste ricordare. E se così non è, andate a rileggervi il primo capitolo cliccando qui.
Ecco dunque svelato, dopo anni, il mistero circondante la figura controversa dello scrittore etrusco che molti cercano per assumere in prestigiose ditte e altrettanti per farsi spiegare un post su Antimateria Grigia, perchè non l'hanno capito. Leggete qui chi è veramente il nebuloso Pino Sbando.
Il suo vero nome, malamente occultato dallo pseudonimo di Pino Sbando, è Rino Sbando, ultimo di otto fratelli battezzati nell'ordine Gino, Mino, Lino, Rino, Dino, Tino e Nino Sbando.
Conosciuto ad Adria coi soprannomi di "Pinolo" e "Scavejòn", Rino Sbando alias Pino nasce in pieno boom demografico postbellico nella splendida cornice di Valliera, frazione della capitale etrusca d'Oriente. Sbando vive in una grande fattoria con alcuni zii, che lo impiegano, assieme ai fratelli, per svolgere lavori di fatica in sostituzione del bestiame e per allietare gli ospiti con fantasiose piramidi umane nel corso dei ricevimenti del sabato sera. Pur godendo di tutte le comodità, Sbando abbandona presto Valliera e trascorre gran parte della propria vita lontano dalla madrepatria, lavorando per 47 anni negli Stati Uniti come consulente della Nasa. Per l'agenzia spaziale americana Sbando si occupa della programmazione di un complesso software che dovrebbe rendere comprensibili le barzellette anche agli extraterrestri, in vista di un possibile incontro informale tra la razza umana e alieni di un'altra galassia. In realtà, dopo vent'anni di programmazione, il software riesce solamente a comporre la frase: "Ho la barba di Barabba in barba a Barnaba", non molto utile a fini di socializzazione con specie extraterrestri.
Naufragato il progetto per carenza di fondi, Rino rientra in patria sul finire degli anni Novanta per sfuggire al fisco. Qui trova una situazione profondamente cambiata: il ranch dei suoi zii, dove aveva trascorso i momenti più belli della tenera età, è stato assaltato e incendiato dagli apache. I suoi sette fratelli sono stati rapiti durante il blitz, forse per essere ridotti in schiavitù. Sbando si dedica quindi anima e corpo per i dieci anni successivi a cercarli, scoprendo infine che essi erano stati ceduti dagli indiani ad un'associazione animalista, che li aveva a sua volta donati ad un circo in cambio della liberazione di un elefante.
Sconvolto da questi avvenimenti, Rino Sbando si trasferisce a vivere ad Adria, da un amico di origini mongole che vive in una yurta mimetizzata in una discarica abusiva sull'argine del Canalbianco. Qui la sua strada si incrocia con quella del perfido ERRE, enigmatico scienziato e villain etrusco di cui si sa poco o niente per un inspiegabile disinteresse generale della popolazione adriota. Il mysteriosissimo doktor ERRE, curatore del blog Antimateria Grigia, in quel momento agli apici del successo editoriale, offre a Rino Sbando la possibilità di collaborare alla sua impresa editoriale, in veste di stagiaire e con mansioni cronista, fotografo, galoppino, cavia umana e dattilografo nella lingua dei segni. Rino accetta il lavoro per poter pagare il metadone alla nonna, divenuta eroinomane in seguito alle tragedie familiari testè narrate.
Sbando rivoluziona il blog di ERRE, ma nessuno se ne accorge, nemmeno lo stesso ERRE, troppo impegnato in strani esperimenti nella sua colonia di ornitorinchi. Ogni articolo dattilografato da Rino Sbando, se opportunamente anagrammato, si trasforma in un poema dedicato a Helena Pepperpot, astronauta americana con cui aveva avuto una breve relazione ai tempi del lavoro alla Nasa. Fu la prima donna ad andare in orbita intorno a Plutone. Dovrebbe tornare tra 185 anni. Rino ha dichiarato pubblicamente che la attenderà fino ad allora. Nel frattempo, trasforma i frammenti del suo poema in schede forate, che inserisce in un immenso computer, che dovrebbe trasformarli in segnali acustici in grado di viaggiare nello spazio fino a raggiungere la sua amata. Finora però il computer è riuscito solo a comporre la frase "Ho la barba di Barabba in barba a Barnaba".
Ancora una volta attingiamo dunque alle sconcertanti rivelazioni di Wikilikz, procurateci come dovreste ricordare. E se così non è, andate a rileggervi il primo capitolo cliccando qui.
Ecco dunque svelato, dopo anni, il mistero circondante la figura controversa dello scrittore etrusco che molti cercano per assumere in prestigiose ditte e altrettanti per farsi spiegare un post su Antimateria Grigia, perchè non l'hanno capito. Leggete qui chi è veramente il nebuloso Pino Sbando.
Il suo vero nome, malamente occultato dallo pseudonimo di Pino Sbando, è Rino Sbando, ultimo di otto fratelli battezzati nell'ordine Gino, Mino, Lino, Rino, Dino, Tino e Nino Sbando.
Conosciuto ad Adria coi soprannomi di "Pinolo" e "Scavejòn", Rino Sbando alias Pino nasce in pieno boom demografico postbellico nella splendida cornice di Valliera, frazione della capitale etrusca d'Oriente. Sbando vive in una grande fattoria con alcuni zii, che lo impiegano, assieme ai fratelli, per svolgere lavori di fatica in sostituzione del bestiame e per allietare gli ospiti con fantasiose piramidi umane nel corso dei ricevimenti del sabato sera. Pur godendo di tutte le comodità, Sbando abbandona presto Valliera e trascorre gran parte della propria vita lontano dalla madrepatria, lavorando per 47 anni negli Stati Uniti come consulente della Nasa. Per l'agenzia spaziale americana Sbando si occupa della programmazione di un complesso software che dovrebbe rendere comprensibili le barzellette anche agli extraterrestri, in vista di un possibile incontro informale tra la razza umana e alieni di un'altra galassia. In realtà, dopo vent'anni di programmazione, il software riesce solamente a comporre la frase: "Ho la barba di Barabba in barba a Barnaba", non molto utile a fini di socializzazione con specie extraterrestri.
Naufragato il progetto per carenza di fondi, Rino rientra in patria sul finire degli anni Novanta per sfuggire al fisco. Qui trova una situazione profondamente cambiata: il ranch dei suoi zii, dove aveva trascorso i momenti più belli della tenera età, è stato assaltato e incendiato dagli apache. I suoi sette fratelli sono stati rapiti durante il blitz, forse per essere ridotti in schiavitù. Sbando si dedica quindi anima e corpo per i dieci anni successivi a cercarli, scoprendo infine che essi erano stati ceduti dagli indiani ad un'associazione animalista, che li aveva a sua volta donati ad un circo in cambio della liberazione di un elefante.
Sconvolto da questi avvenimenti, Rino Sbando si trasferisce a vivere ad Adria, da un amico di origini mongole che vive in una yurta mimetizzata in una discarica abusiva sull'argine del Canalbianco. Qui la sua strada si incrocia con quella del perfido ERRE, enigmatico scienziato e villain etrusco di cui si sa poco o niente per un inspiegabile disinteresse generale della popolazione adriota. Il mysteriosissimo doktor ERRE, curatore del blog Antimateria Grigia, in quel momento agli apici del successo editoriale, offre a Rino Sbando la possibilità di collaborare alla sua impresa editoriale, in veste di stagiaire e con mansioni cronista, fotografo, galoppino, cavia umana e dattilografo nella lingua dei segni. Rino accetta il lavoro per poter pagare il metadone alla nonna, divenuta eroinomane in seguito alle tragedie familiari testè narrate.
Sbando rivoluziona il blog di ERRE, ma nessuno se ne accorge, nemmeno lo stesso ERRE, troppo impegnato in strani esperimenti nella sua colonia di ornitorinchi. Ogni articolo dattilografato da Rino Sbando, se opportunamente anagrammato, si trasforma in un poema dedicato a Helena Pepperpot, astronauta americana con cui aveva avuto una breve relazione ai tempi del lavoro alla Nasa. Fu la prima donna ad andare in orbita intorno a Plutone. Dovrebbe tornare tra 185 anni. Rino ha dichiarato pubblicamente che la attenderà fino ad allora. Nel frattempo, trasforma i frammenti del suo poema in schede forate, che inserisce in un immenso computer, che dovrebbe trasformarli in segnali acustici in grado di viaggiare nello spazio fino a raggiungere la sua amata. Finora però il computer è riuscito solo a comporre la frase "Ho la barba di Barabba in barba a Barnaba".
Nella prossima puntata... tutta la verità su Juanin McNamara!
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