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Intervista esclusiva: parla il mullah Omar

Continuiamo a ristampare senza sosta. Oggi riproponiamo la celebre intervista a uno dei personaggi di spicco del ventunesimo secolo: il mullah Omar. Un'intervista rimandata dal 2002, quando il mullah Omar, in fuga da Kabul a bordo di una Guzzi Falcone, chiamò l'autore chiedendogli di raccogliere alcune sue dichiarazioni, ma il rumore della motocicletta e di alcune esplosioni rese impossibile parlare. Si risentirono molti anni dopo, con una telefonata nel rifugio segreto del mullah Omar in Antartide, dove da tempo ha imposto la sharia ai pinguini e continua a elaborare piani per dominare il mondo.
Una drammatica testimonianza dall'esilio sui drammatici effeti dell'odio e della persecuzione politica.

Caro mullah, apprendo con vivo dispiacere che sei ancora latitante!
Non sono latitante, bensì in esilio. Sono stato costretto a fuggire dal mio paese, in preda a una ignobile follia giustizialista. L'opinione pubblica è stata esasperata da una propaganda che mi ha fatto oggetto di insulti e contumelie inaccettabili. Ho dovuto andarmene per la mia incolumità, dopo il vergognoso episodio dell'hotel Raphael di Kabul (quando il mullah Omar fu oggetto di un lancio di monetine da parte di una folla di afghani inferociti, ndr), che ha mostrato a tutti a quale livello di ferocia la propaganda avesse condotto l'intera popolazione.

E' una fuga sofferta, dunque. Ti manca il paese in cui, con tanta fatica, eri riuscito a portare terrore e miseria?
A parte il fatto che terrore e miseria c'erano già da un pezzo, ciò che mi ferisce è che tutti mi abbiano dimenticato. Perfino gli amici di un tempo. Non esito a dire che sono stato un martire, da sacrificare per permettere ad altri di rifarsi una verginità. Per cosa poi? Per consegnare il paese all'instabilità politica e al degrado morale per almeno quindici anni.

Di lei Cirino Pomicino ha detto recentemente: "In questa stagione di nanismo politico, resta l'uomo con la sua riconosciuta grandezza di statista e la sua indomita fierezza". Pensa che il suo paese saprà accoglierla nuovamente?
A molte coscienze cosiddette democratiche, che sono state le vestali di una finta interessata legalità, ricordo che morire in esilio, lontano dalla propria patria, non è pena prevista da alcun codice civile. Prego Dio che un giorno cessi questa parentesi di follia. Ma oggi il mio paese non è sicuro per me. Non torno perchè difendo la mia libertà. La storia mi giudicherà.

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