1 – Gli albori (traduzione per i leghisti polesani: non sono gli alberi, ma gli inizi)
Il 16 marzo 2011, un giorno prima dell’Unità d’Italia, alle ore 13.25, per circa tre minuti, si festeggerà l’Unità della Padania. La ricorrenza verrà ulteriormente festeggiata dagli operosi padani lavorando 16 ore filate proprio per marcare la differenza con l’indolenza romana che, per l’italico anniversario, prevede l’ozio della festività statale.
La Padania unita compie quest’anno esattamente 2550 anni ed è quindi molto più antica della stessa fondazione di Roma (ladrona). Ma come nasce la Padania?
Si sa bene che essa è un concetto geografico prima che politico e in quest’ultimo senso non esiste e la sua nascita si deve a Umburrt, figlio di Giussaneth, scriba egiziano approdato nel nord di Enotria su una nave fenicia che aveva risalito, per far commercio di murrine da porpora, il corso dell’Eridano fino all’altezza dell’attuale Città di Pavia e Bosmundatta, balia asciutta, praticamente una badante, strappata alle natie terre di Dacia, l’attuale Romania, da una tribù di Galli Boi in gita di piacere (qualce centinaio di villaggi depredati e dati alle fiamme, stupri e ammazzamenti a iosa, un po’ di schiavi, soprattutto donne, per lavorare nelle capanne di piacere o, le meno avvenenti, a far da balia ai giovani e ai vecchietti, ma anche uomini, per lavorare in nero alla costruzione di villaggi e capanne).
Lo scriba, un soggetto mingherlino e di bassa statura, era stato abbandonato dai fenici, che lo avevano assunto per far di conto, ma che lo avevano reimpiegato come mozzo quando si scoprì che non sapeva fare il ragiunat, non conosceva la scrittura cuneiforme e l’unico geroglifico che era in grado di disegnare era un cerchio verde con inscritti una serie di raggi panciuti del medesimo colore.
Assomigliava alla foglia di “erba che da ebbrezza e fame chimica” di cui Giussaneth era consumatore indefesso (altro motivo per cui i fenici avevano deciso di liberarsene).
Si era riciclato come pastore di porci.
Bosmundatta, detta Bossie dagli amici, era invece una donna giunonica con un seno prosperoso dell’ottava misura che i Galli impiegavano come balia, i bimbi a lei affidati l’avevano soprannominata “mammuth”, ma che aveva la vocazione della donna di piacere.
Ogni volta che veniva lasciata incustodita all’interno di una capanna si avvinghiava con fare lascivo al palo portante e, per la mole, trascinava a terra la costruzione.
Dopo l’ennesima demolizione la tribù celta a cui era stata assegnata decise di donarle la libertà e l’abbandonò ben lontano dal proprio villaggio. La povera figliola fu liberata nei pressi di Chassanh Magnagh, proprio vicino al porcile che era la casa di Giussaneth che la vide, la scambiò per una scrofa erectus e se ne invaghì perdutamente.
Bossie, un po’ per necessità, un po’ per la tenerezza che le ispirava l’omino magro e scuro, anche se, essendo innamorata più che altro della copula in se la dava via come il pane fresco, si accasò con lui.
Dall’unione dei due extraceltici nacque Umburrt.
Era un ragazzo allampanato e pigro, che andava tutto il giorno bighellonando in giro con gli amici fancazzisti Marun Du, un galletto erulo con la mania di suonare un flauto dal suono grave, e Calderunk, un ragazzotto ipertitoideo un po’ indietro di cottura. Per toglierlo dalla strada il padre lo iscrisse ad un corso per corrispondenza di imbalsamazione ed esoterismo presso la scuola scribanica, dove lui stesso si era diplomato, di Alessandria d’Egitto.
Purtroppo le dispense arrivavano ogni 6-8 mesi portate dalle imbarcazioni fenicie, ma, dopo circa dieci anni di lenti studi, rallentati oltretutto dalla necessità di decrittare i geroglifici, Umburrt si ritenne pronto ad intraprendere ed aprì la “Piramidania sepolture, imbalsamazioni e riti magici”, così chiamata in onore della terra egizia, natia del padre e fonte delle conoscenze approssimative che erano il suo bagaglio professionale.
Come logo ebbe in dote dal padre quella ruota verde dai raggi obesi che chiamò, vedendola un giorno illuminata da un raggio di sole che faceva capolino su quel ramo del lago tra due catene ininterrotte di monti, Sole delle Alpi.
Per Umburrt e la Piramidania le cose non andarono benissimo. Vuoi la scarsa perizia, vuoi il clima e il terreno umidi della pianura paludosa, le imbalsamazioni reggevano si e no un paio di giorni e le tombe piramidali sprofondamano anche prima. I Celti per cui lavorava pretendevano la restituzione di quanto pagato e l’allevamento di maiali vedeva assotigliato il numero di capi che il padre era costretto a dare in risarcimento ai clienti incazzati neri, pardon, verdi. Tra i Celti era già stato soprannomineto Umburrt, il “sola delle Alpi”.
Fu a questo punto che a Umburt si accese la lampadina, scusate, la torcia e partorì un’idea rivoluzionaria che vi racconterò nella prossima puntata della “Grande Storia dell’Unità della Padania”.
Il 16 marzo 2011, un giorno prima dell’Unità d’Italia, alle ore 13.25, per circa tre minuti, si festeggerà l’Unità della Padania. La ricorrenza verrà ulteriormente festeggiata dagli operosi padani lavorando 16 ore filate proprio per marcare la differenza con l’indolenza romana che, per l’italico anniversario, prevede l’ozio della festività statale.
La Padania unita compie quest’anno esattamente 2550 anni ed è quindi molto più antica della stessa fondazione di Roma (ladrona). Ma come nasce la Padania?
Si sa bene che essa è un concetto geografico prima che politico e in quest’ultimo senso non esiste e la sua nascita si deve a Umburrt, figlio di Giussaneth, scriba egiziano approdato nel nord di Enotria su una nave fenicia che aveva risalito, per far commercio di murrine da porpora, il corso dell’Eridano fino all’altezza dell’attuale Città di Pavia e Bosmundatta, balia asciutta, praticamente una badante, strappata alle natie terre di Dacia, l’attuale Romania, da una tribù di Galli Boi in gita di piacere (qualce centinaio di villaggi depredati e dati alle fiamme, stupri e ammazzamenti a iosa, un po’ di schiavi, soprattutto donne, per lavorare nelle capanne di piacere o, le meno avvenenti, a far da balia ai giovani e ai vecchietti, ma anche uomini, per lavorare in nero alla costruzione di villaggi e capanne).
Lo scriba, un soggetto mingherlino e di bassa statura, era stato abbandonato dai fenici, che lo avevano assunto per far di conto, ma che lo avevano reimpiegato come mozzo quando si scoprì che non sapeva fare il ragiunat, non conosceva la scrittura cuneiforme e l’unico geroglifico che era in grado di disegnare era un cerchio verde con inscritti una serie di raggi panciuti del medesimo colore.
Assomigliava alla foglia di “erba che da ebbrezza e fame chimica” di cui Giussaneth era consumatore indefesso (altro motivo per cui i fenici avevano deciso di liberarsene).
Si era riciclato come pastore di porci.
Bosmundatta, detta Bossie dagli amici, era invece una donna giunonica con un seno prosperoso dell’ottava misura che i Galli impiegavano come balia, i bimbi a lei affidati l’avevano soprannominata “mammuth”, ma che aveva la vocazione della donna di piacere.
Ogni volta che veniva lasciata incustodita all’interno di una capanna si avvinghiava con fare lascivo al palo portante e, per la mole, trascinava a terra la costruzione.
Dopo l’ennesima demolizione la tribù celta a cui era stata assegnata decise di donarle la libertà e l’abbandonò ben lontano dal proprio villaggio. La povera figliola fu liberata nei pressi di Chassanh Magnagh, proprio vicino al porcile che era la casa di Giussaneth che la vide, la scambiò per una scrofa erectus e se ne invaghì perdutamente.
Bossie, un po’ per necessità, un po’ per la tenerezza che le ispirava l’omino magro e scuro, anche se, essendo innamorata più che altro della copula in se la dava via come il pane fresco, si accasò con lui.
Dall’unione dei due extraceltici nacque Umburrt.
Era un ragazzo allampanato e pigro, che andava tutto il giorno bighellonando in giro con gli amici fancazzisti Marun Du, un galletto erulo con la mania di suonare un flauto dal suono grave, e Calderunk, un ragazzotto ipertitoideo un po’ indietro di cottura. Per toglierlo dalla strada il padre lo iscrisse ad un corso per corrispondenza di imbalsamazione ed esoterismo presso la scuola scribanica, dove lui stesso si era diplomato, di Alessandria d’Egitto.
Purtroppo le dispense arrivavano ogni 6-8 mesi portate dalle imbarcazioni fenicie, ma, dopo circa dieci anni di lenti studi, rallentati oltretutto dalla necessità di decrittare i geroglifici, Umburrt si ritenne pronto ad intraprendere ed aprì la “Piramidania sepolture, imbalsamazioni e riti magici”, così chiamata in onore della terra egizia, natia del padre e fonte delle conoscenze approssimative che erano il suo bagaglio professionale.
Come logo ebbe in dote dal padre quella ruota verde dai raggi obesi che chiamò, vedendola un giorno illuminata da un raggio di sole che faceva capolino su quel ramo del lago tra due catene ininterrotte di monti, Sole delle Alpi.
Per Umburrt e la Piramidania le cose non andarono benissimo. Vuoi la scarsa perizia, vuoi il clima e il terreno umidi della pianura paludosa, le imbalsamazioni reggevano si e no un paio di giorni e le tombe piramidali sprofondamano anche prima. I Celti per cui lavorava pretendevano la restituzione di quanto pagato e l’allevamento di maiali vedeva assotigliato il numero di capi che il padre era costretto a dare in risarcimento ai clienti incazzati neri, pardon, verdi. Tra i Celti era già stato soprannomineto Umburrt, il “sola delle Alpi”.
Fu a questo punto che a Umburt si accese la lampadina, scusate, la torcia e partorì un’idea rivoluzionaria che vi racconterò nella prossima puntata della “Grande Storia dell’Unità della Padania”.
continua...
(tratto da tuttamialacitta.net)
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