Noi la domenica andiamo al mare. Ma per chi resta a casa, c'è una nuova rubrica domenicale, dopo i fasti de "Le visioni di Leonida Gusmaroli" e "La parola ai lettori". Questo spazio settimanale, dedicato ai grandi polesani della politica e non, è curato interamente dal nostro nuovo collaboratore Eusebio Ripapersico, plurimutilato di guerra, che con il padre centenario gestisce una ditta di derattizazione, più volte denunciata per l'uso di fosforo bianco in zone densamente popolate. Ripapersico si firma in genere con uno pseudonimo, Ivan Mancin, giacchè non ama scrivere, ma le voci nella sua testa hanno minacciato di uccidergli il padre se non lo farà. Gli diamo il nostro più caldo benvenuto.
Nullo ChennediJohn Fitzgerald Chennedi, così l'aveva battezzato il padre Franklin Delano, noto filoamericano figlio di filoamericani, nasce nel 1960 nel vivace borgo di Selva di Crespino.
Fin da piccino mostra immediatamente due grandi passioni: le sdolcinate e ammiccanti melodie dei cantanti confidenziali e un'ammirazione sfrenata per il cambio di maglia a seconda delle convenienze. La prima passione lo porta a cantare incessantemente, con fare gigione e voce calda e profonda, che si era procurato fumando quotianamente tre pacchetti di Nazionali senza filtro fin dall'età di tre anni, "Una rotonda sul mare" e "Spaghetti, pollo e insalatina" fracassando gli zebedei ai coetanei tutti orientati alla musica ye-ye che lo evitavano come la peste definendolo "matusa". Si abbigliava già a cinque anni come il suo idolo, Fred Bongusto. Si applicava dei basettoni finti di pelo di cane e indossava camice con colletti dalle punte chilometriche ben aperte sul torace villoso (pelo sempre gentilmente offerto dal botolo domestico Bobi) sul quale spiccava una croce d'oro massiccio di tre chili tenuta su da una grossa catena dello stesso prezioso metallo.
La seconda passione, fondamentale per il prosieguo della sua futura carriera, si manifestava da un vorticoso mutare del tifo per diverse squadre di calcio, ora Iuve, ora Milan, ora Inter o financo Pro Vercelli, a seconda della valutazione che voleva dare alle figurine che scambiava con gli amichetti: giurava e spergiurava il suo tifo per piazzare le proprie ad un valore doppio rispetto a quelle altrui. Famosa è la volta che scambiò col piccolo Fausto Merchiori la figurina di un oscuro mediano del Pergocrema con quella, introvabile, di Pizzaballa, portiere del Verona, completando il mitico album Panini e vincendo l'ambito pallone in vero cuoio cucito a mano da un suo coetaneo del Bangladesh e la divisa della nazionale col numero 7 di Domenghini.
Per la sua indolenza, una sorta di spleen catatonico dovuto all'ascolto reiterato dei lenti da mattonella, la madre gli aveva appiccicato il soprannome di "Nullo". E con quel nomignolo intraprese la carriera di cantante nelle balere di provincia. "Nullo" Chennedi e i Voltagabbana, il suo complesso musicale, godettero di un discreto successo e fecero sbocciare anche qualche amorazzo da toilette di dancing, ma tutto finì presto a causa dell'enfisema che i tre pacchetti di Nazionali senza filtro gli procurarono.
Fu in questo periodo che la sua strada si incrociò con quella di un altro giovane cantante, Donato, nome d'arte di Bossi Umberto, pluriripetente iscritto alla Scuola Radioelettra di Torino, che, per racimolare qualche lira, batteva le balere del varesotto col suo gruppo chiamato "I Daghe al terun" precursori, a loro insaputa, della demenzialità che farà poi la fortuna deglI Elio e le Storie tese. Quest'incontro si rivelerà fondamentale per il futuro di Nullo, come vedremo in seguito.
Il fallimento canoro porta il nostro ad intraprendere la strada della politica. Da attento osservatore qual è, il buon Nullo individua subito le potenzialità di un giovane rampante milanese, tal Benedetto Craxi detto Bettino, decisionista come un altro insigne socialista, Benito, che, anche se i compagni del PSI lo descrivono come uno partito per la tangente, sembra avere le idee molto chiare sul come arrivare al potere: onda lunga e pedalare. Per il giovane Nullo sarà l'inizio di una nuova vita.
Nullo ChennediJohn Fitzgerald Chennedi, così l'aveva battezzato il padre Franklin Delano, noto filoamericano figlio di filoamericani, nasce nel 1960 nel vivace borgo di Selva di Crespino.
Fin da piccino mostra immediatamente due grandi passioni: le sdolcinate e ammiccanti melodie dei cantanti confidenziali e un'ammirazione sfrenata per il cambio di maglia a seconda delle convenienze. La prima passione lo porta a cantare incessantemente, con fare gigione e voce calda e profonda, che si era procurato fumando quotianamente tre pacchetti di Nazionali senza filtro fin dall'età di tre anni, "Una rotonda sul mare" e "Spaghetti, pollo e insalatina" fracassando gli zebedei ai coetanei tutti orientati alla musica ye-ye che lo evitavano come la peste definendolo "matusa". Si abbigliava già a cinque anni come il suo idolo, Fred Bongusto. Si applicava dei basettoni finti di pelo di cane e indossava camice con colletti dalle punte chilometriche ben aperte sul torace villoso (pelo sempre gentilmente offerto dal botolo domestico Bobi) sul quale spiccava una croce d'oro massiccio di tre chili tenuta su da una grossa catena dello stesso prezioso metallo.
La seconda passione, fondamentale per il prosieguo della sua futura carriera, si manifestava da un vorticoso mutare del tifo per diverse squadre di calcio, ora Iuve, ora Milan, ora Inter o financo Pro Vercelli, a seconda della valutazione che voleva dare alle figurine che scambiava con gli amichetti: giurava e spergiurava il suo tifo per piazzare le proprie ad un valore doppio rispetto a quelle altrui. Famosa è la volta che scambiò col piccolo Fausto Merchiori la figurina di un oscuro mediano del Pergocrema con quella, introvabile, di Pizzaballa, portiere del Verona, completando il mitico album Panini e vincendo l'ambito pallone in vero cuoio cucito a mano da un suo coetaneo del Bangladesh e la divisa della nazionale col numero 7 di Domenghini.
Per la sua indolenza, una sorta di spleen catatonico dovuto all'ascolto reiterato dei lenti da mattonella, la madre gli aveva appiccicato il soprannome di "Nullo". E con quel nomignolo intraprese la carriera di cantante nelle balere di provincia. "Nullo" Chennedi e i Voltagabbana, il suo complesso musicale, godettero di un discreto successo e fecero sbocciare anche qualche amorazzo da toilette di dancing, ma tutto finì presto a causa dell'enfisema che i tre pacchetti di Nazionali senza filtro gli procurarono.
Fu in questo periodo che la sua strada si incrociò con quella di un altro giovane cantante, Donato, nome d'arte di Bossi Umberto, pluriripetente iscritto alla Scuola Radioelettra di Torino, che, per racimolare qualche lira, batteva le balere del varesotto col suo gruppo chiamato "I Daghe al terun" precursori, a loro insaputa, della demenzialità che farà poi la fortuna deglI Elio e le Storie tese. Quest'incontro si rivelerà fondamentale per il futuro di Nullo, come vedremo in seguito.
Il fallimento canoro porta il nostro ad intraprendere la strada della politica. Da attento osservatore qual è, il buon Nullo individua subito le potenzialità di un giovane rampante milanese, tal Benedetto Craxi detto Bettino, decisionista come un altro insigne socialista, Benito, che, anche se i compagni del PSI lo descrivono come uno partito per la tangente, sembra avere le idee molto chiare sul come arrivare al potere: onda lunga e pedalare. Per il giovane Nullo sarà l'inizio di una nuova vita.
(continua)
tratto da monellovianello.blogspot.com
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