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Fiamma Nirenstein, umorista di destra

Chi l'ha detto che solo i comici di sinistra fanno ridere? Anche oggi possiamo farvi sganasciare dalle risate senza fatica e lo facciamo proponendovi un articolo di Fiamma Nirenstein, umorista di destra.
Righe su righe di gustoso nonsense, partorite mentre il mondo assisteva sgomento agli attentati ad Oslo. La pista islamica è "da verificare", scrive, ma intanto che la verificano lei ci dà dentro con il consueto repertorio sul complotto islamico mondiale che va da Ahmadinejad a quel brutto muso del mio vicino di casa, tutti d'accordo per distruggere l'Occidente per motivi non meglio precisati. Poi però si è scoperto che l'autore del massacro era un fanatico cristiano e Il Giornale ha pudicamente rimosso l'articolo dall'edizione on line, mentre la Nirenstein, non volendo privare il mondo del suo prezioso contributo umoristico, l'ha tranquillamente lasciato sul suo sito.
Da lì l'abbiamo pescato, prima che le venisse in mente di cancellarlo o, chissà, di riscriverlo sostenendo che l'orrore di Oslo è frutto di un complotto cristiano mondiale, ordito da un'alleanza che va dal Vaticano all'Ira, fino ai sanguinari maroniti libanesi alleati di Israele e autori dell'orrenda strage di Sabra e Shatila. Avanti così, signora Nirenstein!


Oslo in guerra?
Il Giornale, 23 luglio 2011

Molte piste, ma non tutte, portano ad un attacco da parte del terro­rismo di stampo islamico. Nelle prossime ore si dovrà verificare con atten­zione quello che per ora è un fondato sospetto. Ma se così fosse, non ha nessuna im­portanza se sia stato a causa delle vignette su Maometto riprese anche in Norvegia nel 2006 dal giornale danese che primo le pub­blicò o a causa della presenza di un piccolo contingente in Afghanistan e uno ancora minore in Libia, che peraltro se ne andrà il primo agosto; oppure perché Al Qaida si è offesa per gli arresti domiciliari del mullah Krekar, sospettato di connivenza con Al Qaida... Non importa quali di queste ragio­ni venga addotta d­alla prima rivendicazio­ne di Ansar al Jihad al Alami per le decine di ragazzi morti al convegno sull’isola di Utoya o per l’orrida distruzione e le sette vitti­me nel centro di Oslo.
Ciò che importa è che la guerra dell’islami­smo contro la nostra civiltà, se verrà confer­mata l’ipotesi che nel corso della giornata è diventata sempre più robusta, è feroce e ag­gressiva. Mentre da parte nostra diventa sempre più grande la difficoltà ad accettare che una vasta fetta della popolazione mondiale possa non volerci bene, e non per ragio­ni sociali o economiche, ma per ragioni di ideologia, non per reazione a un nostro even­tuale comportamento riprovevole, ma per ri­fiuto del nostro stesso modo di esistere...
Il terrorismo oggi ha vastissime ramifica­zioni, è divenuto ormai pressoché impossi­bile delimitarlo ad alcune associazioni pa­ramalavitose come era nel passato, ad al­cuni personaggi di fama internazionale, avvolti nel mistero e nel delitto come poteva essere per esempio Carlos. Oggi il terrori­smo è il comma di una teoria islamistica di conquista che va da capi di Stato anche molto importanti, come Ahmadinejad, che ritengono non solo giusto ma dovero­so impiegare Hezbollah e Hamas per la guerra contro l’Occidente e costruire la bomba atomica fino, appunto, a Hamas che domina territorialmente un’area sot­to l’insegna dello sterminio del vicino (e questo non lo ostacola nel gestire larghi rapporti internazionali), fino al nuovo complesso franchising di Al Qaida che, dopo l’eliminazione di Bin Laden, è di­ventato sempre più ambizioso di mo­strarsi al posto del pallido ieratico feroce capo assoluto che ora non dà più fastidio ai suoi epigoni, liberi di esprimere la sete di sangue a modo loro.
Nella penisola Arabica Al Qaida si chiama Aqap, ed già riuscita a lanciare due attacchi agli Stati Uniti: quello del Natale 2009 sul jet diret­to a Detroit e, nell’ottobre del 2010, il va­sto complotto delle bombe sugli aerei car­go. In Somalia, il gruppo Shabaab ha lan­ciato un attentato contro gli americani in Uganda nel luglio 2010, nel Maghreb sem­pre Al Qaida compie frequenti rapimen­ti e altri terroristi agiscono nell’Africa oc­cidentale. Dall’Egitto post rivoluziona­rio promanano, specie nel Sinai, com­plotti terroristi sia della Fratellanza mu­sulmana sia di Al Qaida, e in genere le li­beralizzazioni della Primavera araba, sal­ve restando le sue pulsioni libertarie, con­tengono una quantità di esplosivi perico­li di diffusione del terrorismo.
E noi che facciamo? Oslo, città che so­gna, città che ospita il premio Nobel per la pace, luogo principe del processo di pa­ce, si è fatta prendere alle spalle, nono­stante ultimamente la sua polizia fosse in allarme per ventilati piani terroristici; sa­peva bene che la vicenda del mullah Krekar aveva già suscitato parecchio scontento nella popolazione musulma­na, che è quasi il cinque per cento della Norvegia, sapeva che le sue missioni scontentano alquanto molte centrali ter­roristiche, che la vecchia storia delle vi­gnette ancora duole. Ma Oslo è una città onorevole, che non può, come nessuno di noi occidentali, vi­vere in un clima di sospetto. Noi dobbia­mo credere nella possibilità di pacifica­zione, nel miglioramento di ogni e qualsi­asi relazione, anche quelle con i più espliciti assassini.
Al Zawahiri aveva annun­ciato che Oslo è nel mirino, la sua amba­sciata a Damasco era già stata assediata una volta, Al Qaida aveva promesso un bagno di sangue. Ma la strada che seguiamo per combat­tere il terrorismo al tempo di Obama è di­ventata ideologicamente incerta, deve essere neutra quanto si può, ormai l’ispi­r­azione basilare è quella di una tattica mi­litare tesa a sradicare le cellule sul cam­po, sperando che il terreno non si inaridi­sca troppo rispetto a un futuro rapporto con gli islamisti pronti invece a ricevere una mano tesa: nemmeno un mese fa il capo dell’antiterrorismo John Brennan ha spiegato di nuovo dalla Casa Bianca che la guerra al terrorismo non porta trac­ce di guerra al terrore come sistema belli­co complessivo contro gruppi ideologici, niente freedom agenda, niente asse del male, niente contrapposizione vertica­le... La strategia contro il terrorismo è dise­gnata non per perseguire il terrore come ideologia in ogni angolo del mondo, compresa casa nostra, dove purtroppo è sem­pre più presente, ma ora come ora punta ad Al Qaida sul campo, ovvero in Afghanistan, con droni che ripuliscono le zone in­­festate senza troppi danni collaterali, col bellissimo attacco di Abbottabad...
Oba­m­a non rinuncia a sperare che si possa se­guitare a giocare di sponda sulla micidia­le presenza del terrorismo degli Hezbol­lah in America del Sud, sulle cellule che ormai fioriscono negli Usa e in Europa, sulla speranza che Hamas e persino As­sad di Siria possano essere recuperati. Probabilmente il mullah Krekar e quelli come lui a Oslo sono ritenuti ospiti diffici­li ma recuperabili, forse anche nell’illu­sione di un residuo in quella neutralità che dovrebbe renderti immune. Ma oggi non c’è neutralità per nessuno.

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